Uno degli aspetti più importanti della sicurezza alimentare è la “rintracciabilità” – definita dal Regolamento (CE) 178/2002 – come “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”. Finalità è far sì che tutto ciò che viene immesso nella catena alimentare (mangimi, animali vivi, alimenti, ingredienti, additivi ecc.) mantenga traccia della propria storia, seguendone il percorso che va dalle materie prime fino al consumo finale. La rintracciabilità consiste nell’utilizzare le “impronte”, ovvero la documentazione raccolta dai vari operatori coinvolti nel processo di produzione, per isolare un lotto produttivo in caso di emergenza, e consentire al produttore e agli organi di controllo che devono vigilare sulla sicurezza alimentare del consumatore, di gestire e controllare eventuali situazioni di pericolo attraverso la conoscenza dei vari processi produttivi (documentazione di origine e di destinazione ecc.).
Fino al 2005 erano rintracciabili solo alcuni prodotti, quali carni, pesce e uova, quelli cioè più a rischio per la salute del consumatore. Dal 1° gennaio 2006, con l’entrata in vigore del “Pacchetto Igiene” l’obbligo della rintracciabilità è stato esteso a tutti i prodotti agroalimentari, il che consente di individuare qualsiasi prodotto in ognuna delle fasi del ciclo produttivo. I requisiti minimi per l’applicazione della rintracciabilità da parte degli operatori del settore alimentare sono specificati nell’Accordo del 28 luglio 2005 tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome (Gazzetta Ufficiale n. 294 del 19 dicembre 2005) concernente “Linee guida ai fini della rintracciabilità degli alimenti e dei mangimi per fini di sanità pubblica”.
Gli scandali alimentari degli ultimi anni hanno posto in primo piano il tema della sicurezza alimentare contribuendo all’incremento della sfiducia da parte dei consumatori nei confronti dei cibi, dei sistemi di produzione e dei controlli sulla genuinità. Questo malessere, si è diffuso soprattutto tra i consumatori delle grandi città che, lontani da zone agricole e quindi digiuni di qualsiasi pratica agro-zootecnica, non hanno alcuna idea di quale sia l’origine e la storia dei prodotti che consumano; e allertati costantemente dai mass-media relativamente a criminali sofisticazioni alimentari o possibili pandemie, di fronte a prodotti sia di origine nazionale che internazionale, resi facilmente disponibili dalla grande distribuzione, non possono che sentirsi spaventati e disorientati.
Uno strumento, che appare in grado di rispondere a tutte le richieste dei consumatori è di sicuro la tracciabilità di filiera in quanto capace di ridare trasparenza al sistema alimentare, ristabilendo un contatto fra chi produce e chi consuma. La tracciabilità garantisce infatti ai consumatori il controllo relativo alla provenienza, alla produzione e alla distribuzione del prodotto, tramite lo sforzo coordinato di più attori che hanno come obiettivo comune la salvaguardia dell’integrità del prodotto. La tracciabilità diventa quindi il garante delle operazioni di formazione del prodotto di filiera; e per chi produce, si può ritenere che possa costituire un valido strumento di promozione e di valorizzazione del prodotto sia a livello nazionale che internazionale.
L’adozione di sistemi di tracciabilità va perciò incoraggiata e sostenuta a tutti i livelli e da tutti gli attori coinvolti nella filiera sia a livello economico e sia a livello tecnologico attraverso la realizzazione di sistemi per il rilievo e l’archiviazione automatica, ed economica, dei dati sensibili.